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#interviste. Marko Daza, campione del mondo di Pole Art Posa: “Senza un messaggio non esiste il campione ne’ l’insegnante ne’ l’atleta. Il messaggio e’ importate”

Scritto da il 18 Luglio 2020

Dal giorno in cui Marko Daza è salito sul palo non si è più fermato, conquistando un successo dopo l’altro, fino a rappresentare l’Italia a Novosibirk, in Russia, al “Campionato del mondo di pole art posa”.

La pole art, per i non appassionati definita in modo generico pole dance, rientra nella combinazione espressiva di danza e acrobazie alla pertica. Si potrebbe definire una danza con le ali. Ma per tirarle fuori, le ali, bisogna lavorare moltissimo, imparare a gestire il proprio corpo, sopportare il dolore e non contare più i lividi, non arrendersi mai. Forza, flessibilità, eleganze, armonia: il gesto dell’atleta che si fonde con il gesto artistico.

Marko Daza, forlivese e cileno di nascita, artista e insegnante di pole dance a Forlì, preparatore di atlete a livello agonistico, ha trasformato la sua vita lavorando duramente per realizzare il suo sogno di ballerino, ha lasciato il paese d’origine, più volte ha dovuto ricominciare da zero, ha gareggiato in cinque continenti e continua a studiare e a mettersi alla prova senza mai fermarsi.

A farlo volare sul palco, la forza delle sue storie.

“Essere campione del mondo significa anche alzarsi la mattina, allenarsi, andare a lezione e condividere con le allieve. Significa esprimersi come artista ogni giorno e lasciare un messaggio. Senza un messaggio non esiste il campione, né l’insegnante né l’atleta. Il messaggio è importate. Raccontando la mia storia posso dire che non c’è niente di impossibile, niente, e quando meno te lo aspetti le cose arrivano”.

Durante le performance Marko Daza porta sul palco la propria esistenza. I ricordi, i sacrifici, la generosità verso il prossimo e la persona speciale per il quale ha iniziato a ballare.

Questa è la nostra intervista.

Tu nasci come ballerino di danza classica, eppure a un certo punto hai sentito l’esigenza di modificare il tuo percorso. Qual è il motivo che ti ha spinto alla pole dance?

Ho conosciuto la pole dance nel 2013, l’anno prima mi limitavo a guardarla da lontano, apprezzavo le acrobazie ma non mi avvicinavo. È stato a causa di un episodio molto tragico

Ma torniamo un po’ indietro.

Ho iniziato molto tardi a fare il ballerino, avevo 18 anni quando sono partito da casa. Mi hanno accettato alla Ballet di Santiago dopo aver fatto un provino. Mi dissero che avrei dovuto lavorare il doppio rispetto agli altri che avevano iniziato a ballare prima di me. Io non avevo mai ballato prima, la mia famiglia non sapeva nemmeno della mia passione, ballavo in segreto, in camera mia, imitando i ballerini in TV per cui non sapevo nulla di tecnica, quando lo dissi, i miei familiari rimasero molto sorpresi. Ho dovuto fare tutto da solo, di giorno ballavo, di sera lavoravo per potermi mantenere. Ricordo la prima volta che mia madre mi vide ballare, dopo il primo anno di accademia, in occasione di una prova generale. Rimase molto colpita. Ho sempre sentito la musica dentro, aveva solo bisogno di imparare le regole di base per esprimersi.

Poi, appunto, nel 2013 mi avvicino alla pole dance.

Fino a poco tempo prima c’era una persona importante che mi spingeva sempre a provare, mi ha persino regalato un palo per invogliarmi a farlo ma io non ne volevo sapere. Per otto anni questa persona è stata vicino a me vivendo tutto il mio percorso da ballerino. Poi all’improvviso lui è morto e per me è stato un colpo molto duro. Trovandomi da solo, dopo settimane dalla sua scomparsa, ho deciso di mettere il palo in sala per guardarlo, era l’unico ricordo che mi aveva lasciato lui.

Un giorno, per uscire dalla mia depressione del momento, ho provato a danzare con la pertica. La prima cosa che ho detto è stata di dover diventare il migliore. Non ero cosciente dei risultati che avrei raggiunto, però la forza con la quale ho detto quelle parole è stata un impulso, come un fuoco. Allora ho iniziato la mia carriera senza fermarmi mai.

Un contatto molto particolare… In un certo senso questa persona rivive nelle tue performance.

Sì, lui vive e rivive nelle mie performance. C’è sempre qualcosa che mi trasporta e mi fa sentire vicino a lui. Lui era molto ottimista, lavorava tantissimo, rideva sempre, voleva far sentire bene gli altri. Questo suo modo di essere ottimista mi mancava e mi manca ancora, seppur lo considero un suo lascito molto importante. Quando insegno, ad esempio, cerco di trasmettere questo ottimismo alle mie allieve, questa voglia di andare avanti. Come faceva lui con me. Nemmeno diventare insegnate è stata una cosa programmata. Si è presentata la possibilità lungo il mio percorso, studiando ogni giorno, e ho accettato traendo nuove soddisfazioni. 

 

Alla luce del tuo racconto, la prima vittoria deve aver significato qualcosa di più.

La vittoria è stata una conferma di quello che avevo deciso al primo momento, ovvero di iniziare con la pole senza fermarmi a respirare. È stata la conferma della mia scelta. E lì ho trasformato la mia vita senza mettere niente in programma. È stata tutta una conseguenza.

Essere campione del mondo di pole art, invece, cosa significa?

Non me l’aspettavo! Anche perché è stato un giorno davvero intenso e complicato. Quando sono partito dall’Italia non stavo bene, avevo la febbre, e inoltre durante il viaggio hanno perso la mia valigia. Quando sono arrivato in Russia non avevo niente con me, proprio niente.

Anche questo mi ha insegnato molto. Posso dirti che essere campione del mondo significa continuare. Il titolo non è la fine di niente, è solo il tassello di un percorso.

Quando ero sul podio mi sono passate tante cose per la testa. Inizialmente non ci credevo, mi sembrava di volare, è stato un giorno indimenticabile, mi sono rivisto prendere il palo nel mio appartamento, al buio, ripromettermi che non avrei mai mollato. Di certo non avrei mai immaginato di vincere i Mondiali in Russia.

 

Adesso ti faccio una domanda un po’ tecnica. Armonizzare la danza classica alle regole della pole sport e poi alle performance ti è venuto naturale?

In realtà è molto difficile. Considera che molti che fanno pole sport vengono dal mondo della ginnastica, sono in pochi che vengono dalla danza classica. Noi ballerini facciamo molta fatica a fare pole sport, loro hanno regole molto particolari. Il peso artistico magari passa in secondo piano. Ma si può fare, non è impossibile.

Io sono arrivato terzo al mondiale di pole sport in Finlandia portando un pezzo semplicissimo ma pulito e con la danza in mezzo. Mi sono espresso attraverso le mie caratteristiche da ballerino che con il tempo ho iniziato a contaminare le mie performance con altri stili di danza. La mia danza adesso si esprime sul contemporaneo perché mi piace prendere elementi da altri stili e inserirli nel mio.

Non riesco a fare un movimento senza danzare, senza esprimere qualcosa, e questa è una cosa che magari a qualcuno può non piacere, non interessare o non comprendere ma io sono fatto così, mi viene naturale.

 

Cosa significa per te la pole dance?

Potrei definirla una terapia, un modo per evadere dai tanti pensieri o situazioni assurde che magari possono capitare. È un momento di libertà, di pace, di ritrovo con se stessi e con gli amici, di condivisione, di vita. Porta molto a livello fisico e moltissimo a livello umano.

Le nostre sale sono fatte di pali singoli ma siamo sempre un gruppo, una squadra e andiamo avanti insieme.

Infatti durante la quarantena sei stato il primo a promuovere “Io resto a casa, allenamento online per tutti” mettendo a disposizione gratuitamente la tua professionalità per i ballerini di tutta Italia. Ce ne vuoi parlare?

È stata una cosa che ho fatto con tutto il cuore per aiutare le persone ad affrontare quel momento di solitudine, molti infatti hanno perso il lavoro e non potevano pagare le lezioni online.

All’inizio sono stato molto criticato, dicevano che non era professionale, che svendevo il mio lavoro, ma non è stato così. Io sono stato un punto di riferimento per loro grazie alla pole dance e loro lo sono state per me.

Facevo piccole lezioni mattina e sera, piano piano ne ho aggiunta qualcuna più privata. Poi tornando alla normalità ho ripreso in palestra. Lavorare online non rientra nel mio stile, è stato solo per un periodo di sostegno.

Ho conosciuto molte ragazze, abbiano fatto un bel gruppo di circa 120 persone da tutta Italia e anche dall’estero, alcune ragazze seguivano le mie lezioni di potenziamento e si stava in compagnia.

Ricordo che il giorno prima del lockdown ero in aereo di ritorno dalla Sardegna e avevo il presentimento che ci chiudessero tutti a casa. Quando hanno annunciato il lockdown mi sono un po’ spaventato in realtà, mi sembrava un incubo. Dopo due ore ho messo online la locandina scrivendo che ci sarei stato per tutta la quarantena e così il giorno dopo ho iniziato su Instagram. Le risposte aumentavano sempre di più e quindi ho aggiunto diverse lezioni.

Cosa dici alle tue allieve durante i momenti di sconforto, quando pensano di non essere abbastanza per la pole dance?

Racconto la mia storia. Nessuno prima dei diciotto anni mi aveva mai fatto fare una piroetta, quindi racconto questo. Racconto del mio arrivo in Italia, di come da un giorno all’altro mi hanno fatto un’offerta di lavoro, di quando pensavo di aver superato il mio dolore e ho dovuto lasciare tutto per iniziare daccapo, ho viaggiare attraverso l’oceano per ricominciare. Dico alle mie allieve che non bisogna avere paura di ricominciare da zero. Ogni volto che qualcuno ha una paura, prova sconforto nella pole dance, dico che bisogna fermarsi, respirare e iniziare nuovamente da zero.

Grazie per le tue parole Marko e per aver condiviso la tua forza e il tuo amore per la pole anche con noi.

Grazie a te Valentina!

 

 

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